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L’automobilismo è un termine associato al concetto di passione. Poche conquiste tecnologiche sono così trasversalmente oggetto di una considerazione quasi “sentimentale”, e per di più anche da parte di chi, di tecnologia, ne mastica realmente poco! Magari è così perchè la maggior parte di noi guida un’automobile (o ne desidera una in particolare), e saper riconoscere gli elementi meccanici che ci permettono di utilizzarla è una curiosità che, almeno una volta nella vita, sfiora tutti. Comunque sia, molti rinunciano di fronte alla complessità dell’argomento. Comprendere come funziona realmente un’automobile significa capire di meccanica, elettronica, termodinamica, aerodinamica…
Noi ci proviamo. Cominciamo imparando questo: il motore endotermico è una macchina che converte l’energia termica contenuta in un combustibile in energia cinetica, tramite un processo di combustione interna. Questo sistema complesso, di natura meccanica e termodinamica, è stato l’unica ed incontrastata unità moto-generatrice dei veicoli a 4 ruote, fino all’affermarsi della propulsione elettrica.
Analizzeremo il ciclo di funzionamento “classico” di un motore a scoppio a 4 tempi; vedremo perchè, alla fine della fiera, le ruote girano e osserveremo quali sono i principali sottosistemi che regolano il funzionamento di un veicolo equipaggiato da un motore a scoppio, comprendendo perchè il futuro di questa tecnologia passa dalle modalità hybrid.
produrre potenza: il MOTORE A SCOPPIO
Per definire l’anatomia di un automobile, partiamo dal cuore. I motori di ultima generazione sono dei capolavori di ingegneria meccanica di grande complessità; per iniziare a capirci qualcosa meglio partire da un motore “rude ed essenziale” come quello raffigurato nel disegno esploso del motore di una semplice ma indistruttibile Jeep Wyllis.
Complicato? Non tanto, se pensiamo al suo fine ultimo. Il motore, come detto, è una macchina che permette alla miscela aria-carburante di bruciare, sprigionando energia la cui misura viene espressa in quella che è la potenza massima erogata (CV). Mentre il comburente è sempre aria, il combustibile, contenuto nel serbatoio e pescato tramite una pompa, può essere diverso. In un motore alimentato a benzina a 4 tempi (come quello che abbiamo appena visto; il ciclo Diesel si differenzia un pò nella sua componentistica, così come quello di un motore a 2 tempi di un motoveicolo), il ciclo termodinamico della combustione (ciclo Otto) si divide in 4 fasi:
A questo punto sembra tutto più facile. Sembra. Osserviamo lo spaccato assonometrico di un glorioso motore del 20mo secolo (quindi non modernissimo): il motore V6 Alfa Romeo “Busso” (dal nome del suo ingegnere progettista).
Dai tromboncini di aspirazione al carter, non sembra più così semplice distinguerne i componenti. Siamo comunque riusciti a capire come si genera la coppia motrice, cioè la sollecitazione (aka momento, espresso in Nm) che, applicata ad un asse, permette alle ruote, ad esso collegate, di girare. Vediamo come funziona il sistema di trasmissione della coppia motrice alle ruote.
trasferire potenza: gli ORGANI DI TRASMISSIONE
Il veicolo può avere 3 tipi di trazione a seconda dell’asse a cui viene applicata la coppia motrice: anteriore, posteriore o integrale (se ad entrambi gli assi). In ognuna di queste conformazioni, i sistemi fondamentali che regolano la trasmissione sono principalmente 2: cambio e differenziale.
Iniziamo dal cambio: questo è un organo che “gestisce” la coppia motrice, nel senso in cui permette che la potenza erogata dal motore venga trasmessa alle ruote mediante il lavoro di una serie di ingranaggi, e dunque in funzione del rapporto di trasmissione. Sappiamo che l’albero motore gira con un certo regime di rotazione (rpm): ciascuna automobile ha una propria curva di coppia che indica quanta sia la coppia motrice erogata per ciascun rapporto di trasmissione in funzione dell’rpm. Il cambio, dunque, agisce sulla coppia erogata (influenzando la capacità di accelerazione) per effetto dell’ingranaggio chiamato a trasmettere motricità. Il rapporto di trasmissione (i mortali la chiamano marcia) in un cambio manuale viene selezionato dal guidatore tirando una leva e schiacciando un pedale che spinge sul disco della frizione: quest’ultimo è un elemento che collega/scollega gli ingranaggi permettendo che “ingrani” il rapporto richiesto. Vediamo, meccanicamente, come si comporta un cambio manuale.
Prima di giungere alle ruote tramite i semiassi destro e sinistro, la coppia motrice viene ulteriormente” gestita” dal differenziale. Quest’ultimo è un organo decisivo a meno che non si guidi un kart: esso ripartisce la coppia motrice fra il semiasse dx e sx in funzione del fatto che la ruota interna ad una curva ha una necessità di percorrenza minore di quella esterna. Cioè, per coprire lo spazio richiesto, deve fare meno giri! Se la coppia fosse equamente ripartita avremmo uno squilibrio che si ripercuoterebbe sulla tenuta di strada del veicolo. Il differenziale, tramite i suoi ingranaggi interni, ripartisce maggior coppia alla ruota con più appoggio in curva (cioè con maggiore sollecitazione di rollio), vale a dire quella esterna. Per chiarirci le idee, stavolta ascoltiamo lo “spiegone” di veri appassionati che, da buoni smanettoni, ci spiegano perchè un differenziale autobloccante, cioè capace di trasferire coppia solo fino ad una certa percentuale, sia un bell’accessorio per un guidatore. Chiunque gli stia dietro, sta iniziando a capirci.
governare il veicolo: le SOSPENSIONI, lo STERZO e i FRENI
Arriviamo così ai principali “organi di governo” di un automobile: il sistema sterzante per la direzionalità del veicolo, l’impianto frenante per ridurre la quantità di moto, e le sospensioni per la tenuta di strada ed il comfort interno. Possiamo, approssimando un pò, focalizzarle in un blocco unitario che chiameremo masse non sospese del veicolo. La ruota, a cui questi organi sono collegati, è l’unico elemento della vettura che presenta un contatto diretto con il terreno.
Nel sistema sterzante a cremagliera idraulica, il volante, agganciato ad un’asta detta piantone, fa sì che, su richiesta del guidatore, si possa “sterzare le ruote” (per meglio dire, variare l’angolo di imbardata dell’asse ruota) mediante lo scorrimento di un ingranaggio su un’asta a cremagliera. Il tutto è servito da un impianto idraulico (olio) che permette la lubrificazione del sistema e il comfort di utilizzo. Questa tipologia di impianto è il sistema più diffuso sulle automobili, ma ne esistono diverse varianti che vanno dal servosterzo elettrico (no impianto idraulico) fino all’idroguida priva di cremagliera.
Ci siamo focalizzati sul gruppo ruota, e qui individuiamo gli altri 2 sistemi fondamentali : freni e sospensioni. Esistono, come al solito, numerosissime varianti tecnologiche dei due sistemi, noi ci limiteremo alla descrizione del principio di funzionamento inquadrando esempi semplici e comuni.
L’impianto frenante a disco è comandato da un pedale che attua un circuito idraulico (olio) responsabile del bite (la presa) delle pinze freno. Le pinze ospitano al loro interno dei pistoncini che, chiudendosi, frenano la rotazione del disco freno, agganciato ai mozzi, il cui movimento circolare rotatorio è solidale a quello della ruota. I dischi più comuni sono in acciaio e pieni, mentre negli impianti più sofisticati (in funzione della potenza e della massa del veicolo da frenare) hanno diametri, materiali e conformazioni variabili (carbonio e carbo-ceramica, autoventilanti, forati e baffati per ottimizzare l’evacuazione del calore). Lo schema più comune prevede freni a disco anteriori e “a tamburo” posteriori. Il funzionamento “a tamburo” è tecnologicamente meno avanzato ed efficiente, prevede l’azione di ganasce che, comandate dal pedale, bloccano una “coppa” metallica (tamburo) solidale con il mozzo della ruota. Lo schema disco anteriore-tamburo posteriore si utilizza per criteri di economicità e perchè, prevalentemente nelle vetture a trazione anteriore, la ripartizione della frenata privilegia sempre e comunque l’asse anteriore.
Le sospensioni sono il sistema deputato ad assorbire le sollecitazioni derivanti dal contatto con il fondo stradale e dalla dinamica del veicolo. Nel suo movimento, infatti, il veicolo subisce rotazioni intorno ai tre assi (rollio, imbardata e beccheggio) i cui effetti vengono assorbiti da un dissipatore: il gruppo ammortizzatore-molla. L’ammortizzatore, tramite lo scorrimento traslazionale-verticale di un pistone in un cilindro viscoso, il cui movimento è regolato dalla molla, dissipa le sollecitazioni permettendo confort e tenuta di strada. I braccetti delle sospensioni completano il sistema collegando le ruote al telaio ed allo stesso tempo scollegandone le dinamiche (se il movimento di ruote e telaio fosse vincolato rigidamente, addio tenuta di strada…).
Lo schema più diffuso prevede il sistema McPherson (molla e ammortizzatore accoppiati) all’anteriore, e ponte torcente (con molla e ammortizzatore separati) al posteriore, oppure McPherson su entrambi gli assi. Esistono numerosissime varianti che dipendono dal veicolo, basti pensare che, in F1 ad esempio, lo schema sospensivo a tirante (push-rod) o puntone (pull-rod) prevede la regolazione delle barre di torsione data la pochissima corsa di cui necessitano i sistemi progettati per le monoposto da corsa (la corsa permette la regolazione dell’assetto: morbido, cioè con grossa escursione e capacità di assorbimento; o rigido, cioè con poca escursione e capacità di assorbimento a privilegiare la capacità di scaricare a terra la trazione).
Oltre a questi principali, numerosissimi altri sottosistemi permettono ad un veicolo di funzionare (impianto elettrico, impianto di raffreddamento, serbatoio e sistema di circolazione della benzina, interni e quadro della strumentazioni, telaio portante e carrozzeria…) Alcuni di loro accompagneranno il concetto di veicolo a quattro ruote nella sua transizione verso il futuro. Eccezion fatta proprio per il motore endotermico, che è destinato a passare allo status di opera d’arte a testimonianza dell’umano ingegno, e sopravviverà unicamente se associato ad un sistema di propulsione alternativo: in IBRIDO